Roberto Roncella
Due parole semiserie, a partire da un ammonimento goliardico del 1620
Dove si trova?
Non
è difficile individuare la piccola targa, girando per la Pisa
universitaria, per esempio andando alla mensa centrale a partire da
ingegneria, verso la fine di via Alessandro Volta, all'altezza
dell'incrocio con via Santa Maria (per chi è fissato col navigatore, o
la vuol trovare su una mappa in rete, queste sono le coordinate: 43.718135,10.396895).
Si vede anche usando il servizio "Street View", ma l'algoritmo di
composizione delle immagini l'ha tagliata a metà e resa illegibile.
Qual è il messaggio?
La
sua presenza al centro della zona universitaria e il richiamo al tempo
della resa dei conti, riportano subito alla mente l'esperienza di ogni
studente universitario, che evidentemente anche ai tempi dello Studio
Pisano alternava periodi di studio a periodi di esame. Le felici
nottate dedicate alle reciproche visite tra provenienti da mondi e
generi diversi, e ospitate da cene improbabili e giochi di carte, se
non altro, si intervallano a giorni di lezioni più o meno pesanti, e
sono smaltite tra sbadigli e appunti altrettanto svogliati, non importa
se su registri rilegati, quaderni o tavolette elettroniche.
I
giorni e le lune che passano portano all'inizio solo il sentore del
momento della verifica, ma l'esame prima lontano e indistinto si fa
sempre più vicino e chiara matura nella mente quello che il Francesco
del 1620 voleva dire ai suoi contemporanei: non basterà lo studio
disperato di due notti a recuperare la montagna di cose che anche solo
con 6 stupidi crediti si sono accumulate e vagano confuse nella
testa. Per non parlare dello scritto.
È finito per sempre il tempo della scuola superiore, con i suoi riti,
spiegazioni-interrogazioni-compiti, che segnano gli anni
dell'adolescenza e creano la falsa sensazione che quando un
tri(quadri)mestre è finito, allora è finito per sempre e nessuno ti
chiederà più conto di quanto avresti dovuto capire, un mese o un anno
prima.
Questo il senso del monito di ieri e di oggi.
Non ci si può però fermare qui. Se ieri la fatica di studiare era
sostenuta dal desiderio di "sapere" (chi sa, sa) e dalla voglia di
emergere, al punto che il danno di un esame che portava via troppo
tempo era tutto del malcapitato studente (su' danno), oggi crediamo che
"sapere" (e "saper fare", visto che siamo ingegneri...) sia un'impresa
collettiva, al punto da pagarla e sostenerla tutti insieme. Quindi
coraggio, mettiamocela tutta perché, a tempo a tempo - non solo quello
dell'esame, ma quello delle scelte, dell'età adulta, di una professione
portata avanti con dignità - ognuno sia preparato il giusto.